Le origini
In questi ultimi compaiono molti riferimenti espliciti a tentativi di innesti cutanei per fini ricostruttivi. Ma la chirurgia estetica nella civiltà indiana, era praticata soprattutto per ricostruire determinate parti del corpo danneggiate a causa di alcune pratiche tipiche di quella società, come ad esempio la mutilazione giudiziaria. Questa pratica consisteva nell’amputazione di parti del corpo, tra cui principalmente il naso, in seguito alla trasgressione di alcune leggi. Inoltre veniva eseguiti alcuni interventi di ricostruzione dei lobi lacerati dall’eccessivo uso di orecchini eccessivamente pesanti.
Per la ricostruzione dell’orecchio ad esempio, il medico prelevava un lembo di guancia, sterilizzata con acqua calda e farina di riso fermentata, e poi la impiantava nella zona danneggiata usando miele, burro e polvere di argilla, ricoprendo il tutto con strati di lino e cotone.
Nel mondo greco invece Ippocrate, nel suo Corpus Hippocraticum, fa riferimento a malformazioni del viso, citando tecniche ricostruttive derivanti proprio dall’India.
Un’altra testimonianza importante degli albori della chirurgia estetica è costituita dal papiro di Edwin Smith, datato 3.000 a. C., nel quale è contenuta la prima descrizione di un intervento chirurgico di un trauma facciale, con frattura del naso e della mandibola.
La chirurgia estetica nell’antichità romana
Nell’antica Roma, ad interessarsi a ricostruzioni a fini estetici con interventi alle orecchie, al naso e alla bocca, furono due dei più grandi medici del tempo: Galeno e Aulo Cornelio Celso. Con il crollo dell’impero romano la chirurgia, applicata nei campi di battaglia e sui gladiatori, ebbe una fase di stallo.
Con l’intensificarsi dei rapporti tra Oriente e Occidente, grazie all’arrivo degli arabi nella nostra penisola, nell’XI secolo, le tecniche mediche da loro praticate più raffinate si fusero con la cultura greco-romana del tempo. In quel tempo, la pratica medica era affidata alla classe religiosa: erano i chierici ad occuparsi di operazioni ed interventi, spinti da uno spirito di carità.
Ma a partire dal XIII secolo al clero fu impedito di praticare l’arte chirurgica, ritenendo che quest’attività distogliesse i religiosi dalle loro pratiche quotidiane. A sancire ufficialmente questo impedimento, fu il Concilio di Reims del 1131.
I barbieri “chirurghi”
Fu così che la pratica chirurgica passò dalle mani degli uomini di chiesa a quelle di barbieri e mestieranti che operavano clandestinamente, affidandosi all’esperienza più che ad una conoscenza scientifica.
Gaspare Tagliacozzi
La prima vera svolta importante per la medicina estetica si ebbe nel 1597 con la pubblicazione dell’opera De curtorum chirurgia per insitionem del medico Gaspare Tagliacozzi. Quest’opera è da considerarsi il primo trattato di chirurgia estetica occidentale. In quest’opera Tagliacozzi descrive la tecnica di ricostruzione nasale che prenderà il nome di “metodo italiano.
La chirurgia plastica moderna
Il chirurgo tedesco Carl Von Graefe è considerato il padre della chirurgia plastica moderna. Nel 1818 pubblicò Rhinoplastik: un’opera in cui citava 55 operazioni di rinoplastica con il metodo indiano, italiano e il nuovo metodo tedesco (che consisteva in un vero trapianto di pelle dal braccio), ma anche interventi di blefaroplastica (plastica della palpebra) e di palatoplastica, tanto da essere considerato padre della chirurgia plastica moderna.
Ma per l’introduzione dell’anestesia e l’intervento al naso in due tempi, bisognava attendere il successore. Nel 1892 fu infatti Robert Weir ad ampliare il bagaglio di conoscenze fino ad allora acquisite. Ma il primo intervento di chirurgia estetica risale alla fine del 1800.
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